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Lui & Lei

La garconnière 1


di geniodirazza
28.07.2024    |    1.975    |    0 9.6
"Giorgio aveva certamente avvertito la tensione che c’era tra me e mio marito, perché cominciò ad essere più assiduo nel corteggiamento, fino a fare proposte..."
Quarant’anni, da venti sposata con Mario, con una figlia ventenne, avuta pochi mesi dopo il matrimonio per un incidente di percorso, insegnavo, ormai con poca passione, matematica in un liceo del nord industriale; gambe lunghe e sottili, da gazzella, che sostenevano fianchi stretti ma perfettamente disegnati, natiche compatte, appoggiate lì a fare da calamita ai maschi che guardavano, seni piccoli ma deliziosi con capezzoli sbarazzini e provocatori.
Ero decisamente una donna interessante, con molti interrogativi sull’incombente decadenza, una fisima diffusa tra le donne non appena si varca la soglia fatidica degli ‘anta’; facevo enorme affidamento sulla disponibilità di mio marito, gran bell’uomo di quarantadue anni, atletico e tonico, grande affabulatore e ricco di fascino, che non aveva mai offerto il destro a chiacchiere o pettegolezzi.
Aveva un avviato studio da commercialista e, in un territorio che brulicava di fabbriche grandi e piccole, si era ritagliato uno spazio importante che ci consentiva un benessere invidiabile; prima del matrimonio, poiché era ancora agli inizi ed io avevo già in vista la laurea e l’insegnamento, gli avevo imposto, su suggerimento di mio padre, che non lo vedeva di buon occhio, il regime dei beni separati.
Vivevamo con entusiasmo la nostra vita comune; dotato di una bellissima mazza di notevole dimensione, copulavamo spesso e volentieri dedicandoci a molte pratiche sessuali anche al limite della ‘decenza’; pressata da certi condizionamenti familiari, gli concedevo raramente le trasgressioni; non avevo mai consentito che violasse il mio ano, in parte per una ripulsa innata, in parte per timore di conseguenze fisiologiche assurde.
Avevo ceduto alla copula orale ma gli avevo categoricamente vietato di eiaculare in bocca, per una ritrosia igienica inspiegabile e decisamente fuori tempo; ma Mario era un uomo dalla grande pazienza ed aveva accettato serenamente di lasciarmi le mie fisime; allo stesso modo, si era occupato di Laura, nostra figlia, da quando era lui a preoccuparsi della pulizia, usando spesso la mascherina, per problemi intestinali della bimba, fino all’università.
Negli ultimi mesi, le cose erano improvvisamente precipitate; poiché non era possibile, in un ambiente di piccola provincia, nascondere certe condizioni, ben presto ero stata presa di mira da una coppia di colleghe notoriamente lesbiche, che avevano cominciato a rimproverarmi in tutti i modi una presunta subalternità al maschio dominatore, soprattutto per la diversa e sperequata condizione economica.
Su una personalità fragile e debole come la mia, i loro discorsi avevano agito come la goccia che scava la pietra e ben presto mi ero trovata a valutare, da un angolo di visuale estremamente ristretto ed estraneo alle mie logiche, anche il gesto più ingenuo e naturale di mio marito; una piccola osservazione sul costo di un accessorio faceva immediatamente scattare la mia equivocata interpretazione della ‘sudditanza’ e il litigio partiva.
Sulle nostre frizioni si divertivano spesso e volentieri i nostri amici, forse anche per invidia della nostra armonia e del potere economico e sociale di mio marito; il più perfido e cinico era Giorgio, mio collega di insegnamento, quindi dipendente statale a stipendio medio, che aveva per moglie una mia amica, Gemma, sulla quale mio marito amava scherzare dicendo che era stata fatta col mio stesso stampo, che poi era stato distrutto per non creare altre dee.
Effettivamente, avremmo potuto sembrare gemelle, per la struttura generale; ma i particolari ci distinguevano bene; lei era bionda, io bruna; lei aveva mani sottili e delicate, da pianista; le mie erano un poco più tozze; si vedeva, nonostante il lavoro della manicure; lei aveva piedini piccoli e delicati, da accarezzare; dei miei, Mario diceva che sarebbero stati buoni per il calcio.
I complimenti in cui si diffondeva verso la mia amica avevano sempre solleticato il mio affetto per lei e per lui, dal momento che avevo coscienza della buona fede di mio marito e dell’amicizia di Gemma; ma, da quando ero montata sul carro della contestazione ad ogni costo, leggevo i complimenti all’altra come un modo velato per dirmi che ero meno bella e che non mi amava più come una volta.
Non avrei mai pensato, lucidamente, di arrivare ad incrinare un rapporto più che ventennale, compreso il periodo da fidanzati; ma, da quando mi ero messa in testa di ribellarmi al maschio, non ne lasciavo passare una ed ero prontissima ad aggredire ogni volta che avessi la sensazione di una frase non perfettamente incensatoria per me; neanche avevo mai pensato a un tradimento, che invece ad un certo momento divenne ipotesi verosimile.
Giorgio aveva certamente avvertito la tensione che c’era tra me e mio marito, perché cominciò ad essere più assiduo nel corteggiamento, fino a fare proposte inequivocabili; per un poco resistetti; poi sentii vacillare le mie certezze e mi rivolsi spesso a lui per farmi consolare di presunti ‘sgarbi’ di mio marito, assolutamente inesistenti; la piccola crepa che nella relazione familiare si era verificata poteva essere riparata facilmente.
Ma la tigna ed un inspiegabile sordo rancore, forse di radice più antica, mi spinse a calcare la mano sulle differenze, sulle presunte gaffe, insomma a scavare dentro fino a che la crepa fu un solco che ci divideva; bastava, a quel punto, che un incidente, anche piccolo, intervenisse a rompere il fragilissimo equilibrio, perché la costruzione delicata della nostra unità andasse a rotoli.
L’occasione si presentò presto, una sera che Mario mi mosse un appunto durante una festa; lo piantai in asso con una parolaccia ad alta voce, perché tutti sentissero, e mi rifugiai tra gli amici; Giorgio ne approfittò immediatamente; sentii la sua mano passarmi carezzevole sulla natica e, subito dopo, scivolare sul seno; mi strinse per un attimo un capezzolo; presa dalla rabbia, gli sorrisi anziché respingerlo.
Quando, ad una certa ora, come faceva ormai da sempre, Mario mi comunicò che dovevamo andare via perché l’indomani aveva impegni urgenti, gli risposi piccata che ero una donna libera e decidevo senza la guida del badante; non batté ciglio e si avviò all’ingresso a ritirare il soprabito; vidi che Gemma gli prendeva con dolcezza una mano e gli sussurrava parole forse di consolazione.
Mi strinsi a Giorgio che, a quel punto, scattò in sintonia e suggerì a sua moglie di farsi accompagnare da mio marito, visto che anche lei aveva gli stessi problemi; la nostra esaltazione e il desiderio represso di fare del male a chi ci aveva superato e si era affermato, come era per mio marito e per sua moglie, ci impedì di renderci conto dell’elementare verità che stavamo accostando paglia e fuoco; non sapevamo che l’incendio avrebbe bruciato solo noi.
Difatti, mentre si avviavano all’auto, i due si scambiarono le impressioni sull’inequivocabile gestualità intercorsa tra me e Giorgio; lei gli chiese cosa pensava sarebbe successo; lui espose i suoi dubbi, sul salto del fosso che stavamo per osare; la domanda ‘che fare?’ risuonò più volte tra loro; Mario l’avvertì che, per avere una qualche risposta, doveva fare una deviazione; l’indomani avrebbe potuto dirle tutto.
Lei lo stette guardare e restò in macchina mentre entrava in un condominio alla periferia; al secondo piano, c’era una garconnière di cui erano a conoscenza solo gli amici della cerchia stretta; lo zerbino posto in un certo modo diceva se il locale ospitava una coppia; raccolse la chiave dal vaso in cui sapeva che era conservata, entrò ed attivò il sistema di registrazione audiovideo che spesso usavano; richiuse la porta e tornò in auto.
Mario si comportò con Gemma, quella sera, come avrebbe fatto in qualsiasi momento con qualunque amica; la riaccompagnò a casa; la salutò con un delicato bacio sulla guancia; le promise che l’indomani avrebbe saputo cosa fosse successo e la seguì con lo sguardo finché varcò il portone; poi si diresse a casa dove si attrezzò per la notte e si mise a dormire.
Io e Giorgio ci trattenemmo solo un’altra mezz’ora alla festa, poi andammo via; ci volle poco a capire che la direzione non era quella di casa; quando lui poggiò una mano sulla coscia, io portai la mia sulla patta; trovai un fallo più piccolo di quello di Mario; ma la tigna, da un lato, e la particolarità delle situazione intrigante, dall’altro lato, mi fecero avvertire una gioia profonda mentre mi preparavo a tradire Mario, per la prima volta dal matrimonio.
Si diresse alla periferia, fermò e parcheggiò davanti ad un condominio anonimo; salimmo al secondo piano, recuperò una chiave ed entrammo nella garconnière di cui sapevo ma che non conoscevo; quando varcammo la soglia della camera, scattò il sistema di fotocellula che avviava la registrazione; Giorgio, decisamente meno attento di Mario e forse anche meno intelligente, neppure si accorse dei led verde che segnalavano le telecamere accese.
Era decisamente assai eccitato, l’amico di mio marito, perché non perse un attimo; mi sentii avvolta in un abbraccio tentacolare, col sesso che mi picchiava contro la vulva e le labbra che si incollavano alle mie aspirandole come idrovora; la lingua scattò e percorse in un attimo tutta la cavità orale; ricambiai la stimolazione e portai la mano su sesso; carezzai e masturbai da sopra gli abiti.
Lui fece scorrere la mano lungo il ventre e la coscia, finché si infilò nello spacco dell’abito che sfiorava l’inguine e si impossessò con foga della vulva, a palmo pieno; umori d’orgasmo cominciarono a scorrermi dalla vagina e inondarono lo slip; non si diede il tempo di preparare la copula, tanto era eccitato; mi spinse sul letto, sollevò la gonna, spostò di lato lo slip e in un attimo lo sentii dentro, fino all’utero.
Ci fu, per me, un attimo di delusione; mio marito si dedicava a lungo ai preliminari ed ero viziata da quel punto di vista; nessuna copula era immediata e rapida; prima della penetrazione, le coccole e gli orgasmi piccoli erano quasi un debito; invece Giorgio sembrava ansioso soprattutto e forse solo di godere del mio corpo ed eiacularmi in vagina; neppure mi chiese se ero protetta; mi cavalcò selvaggiamente per qualche minuto ed esplose.
Per mia buona sorte, la violenza dell’impatto aveva stimolato tutti i miei recettori ed ero riuscita a raggiungere un discreto orgasmo, prima che lui si abbattesse su di me quasi senza vita; lo scaricai dal mio corpo, mi tamponai con le mani sopra lo slip e corsi in bagno, dove finalmente riuscii a spogliarmi completamente nuda e a lavarmi la vagina grondante; appallottolai lo slip, lo avvolsi in fazzolettini e lo misi in borsa; tornai sculettando a letto rimproverandolo dolcemente con l’indice agitato.
Si profuse in mille scuse, accampando, per galanteria, la mia bellezza a motivo dell’eccessiva rapidità del suo orgasmo; mi assicurò che non soffriva di eiaculazione precoce e che adesso le cose avrebbero preso la piega che mi piaceva di più; mentre ero in bagno, si era spogliato ed ora giaceva nudo, disteso supino al centro del letto; salii anch’io e mi distesi accanto a lui; ci girammo sul fianco e mi baciò con la passione che avevo già sperimentato entrando.
Mi prese la mano, la portò sull’asta e mi guidò a masturbarlo; con monosillabi e gesti, mi impose il movimento su e giù della mazza che si librava dal pube verso il cielo; mi prese i capezzoli tra i pollici e gli indici e li titillava strappandomi brividi e gemiti di goduria; io appresi rapidamente a masturbarlo come a lui piaceva; non ebbi il coraggio di confessare che non masturbavo quasi mai mio marito e che per la prima volta mi sottomettevo alla pratica senza protestare.
Il dubbio che stessi distruggendo il mio mondo per un equivoco mi assalì immediatamente; per tutta la durata della nostra relazione e ogni volta che accettavo pratiche sessuali che avevo vietato a mio marito, mi rendevo conto che quella era la vera subordinazione al maschio dominante, non quella di Mario che si impegnava a produrre ricchezza ma poi la metteva a completa disposizione mia e di nostra figlia; la particolarità della situazione mi aiutò a dimenticare i miei rimorsi.
Il momento peggiore lo vissi quando lui mi prese per la nuca e mi costrinse ad abbassarmi fino a toccare con le labbra il suo fallo; l’avevo fatto, qualche volta, ma a malincuore; con Giorgio, invece, sentivo il piacere montarmi dall’utero e espandersi per il corpo, mentre lui, capito che ero quasi vergine, mi dirozzava guidandomi passo passo nella fellazione; scoprii così il piacere di sentire in bocca la consistenza serica della cappella e, tra lingua e palato, la possanza della verga.
Spinse più volte, violentemente, fino in gola, fino a soffocarmi; non mi ribellai, perché mi vergognavo, da un lato, e perché scoprivo un piacere nuovo, dall’altro lato; era lui a portare avanti la fellazione, ma ero io ad impossessarmi delle emozioni e a praticarle subito con grande efficacia; lo feci fremere di piacere più volte; mi dovette imporre lo stop per non eiaculare e mi insegnò a stringere i testicoli per frenare orgasmi troppo rapidi.
Mi sorpresi a chiedermi perché non avevo consentito a mio marito di usare le stesse pratiche amatorie; ma ero nell’occhio del ciclone della contestazione al maschio prepotente e mi rifugiai nella falsa certezza che era stato lui troppo debole, facendo finta di dimenticare i capricci che avevo fatto quando aveva cercato di convincermi a fare sesso alternativo; il punto più basso della mia miseria morale lo raggiunsi quando lui urlando come bestia ferita, mi scaricò in gola l’orgasmo.
Sapevo che avevo raggiunto il punto massimo dell’aberrazione; ma, per fortuna, la scena non aveva spettatori e avrei potuto, se ricucivamo, fingere di scoprire con lui quelle cose che l’amante occasionale mi stava insegnando; era decisamente meschino, specioso e volgare; ma ancora una volta mi nascosi dietro la certezza che era stata una sua debolezza, non una mia perversione, a spingermi in braccio all’amico.
Mentre mi riprendevo lentamente dall’emozione di quella esperienza, lui venne preso ancora dal raptus del sesso; mi fece porre carponi sul letto, venne dietro di me e prese a leccare con devozione tutto l’apparato, dal monte di venere al coccige; più volte si fermò sull’ano e spinse dentro la lingua; mi sentii pervasa da un piacere diverso e mi resi conto che mi ero privata di un godimento straordinario; le mie fisime sulla igienicità della lingua nell’ano erano andate a farsi friggere.
Capì che ero vergine; me lo chiese; gli dissi candidamente di sì; mi avvertì che se ci fossimo rivisti avrebbe preparato la cosa, che richiedeva una certa cura, e si sarebbe preso quella mia verginità; mi sentii quasi amata, con quella promessa; per il momento, essendo passato il termine giusto per non far pesare il ritardo, mi proponeva un ultimo assalto; le corna a Mario potevano essere un ottimo collante tra di noi, che ci incontravamo quotidianamente a scuola.
L’ultima copula fu da fuochi di artificio; mi prese da dietro, usando come leva i seni che aveva artigliato dai fianchi; questo gli consentiva colpi tremendi che scuotevano la mia libidine e provocavano fitte di piacere dalle natiche piantate contro il ventre, attraverso il sesso e il ventre fino al cervello; in un attimo di strana resipiscenza, mi resi conto che il cuore e il sentimento erano intatti; quello che vivevo era sesso allo stato selvaggio, niente a che vedere con l’amore, che restava a casa.
Passammo in quella garconnière quasi due ore; quando mi resi conto che erano passate le due, ora impossibile nella nostra routine, per restare da sola fuori casa, sollecitai il mio stallone a riportarmi indietro; anche lui, ormai svuotato da tre eiaculazioni in pochissime ore, era ansioso di tornare dalla moglie, umiliata forse anche più di mio marito, visto che non aveva colpa da farsi perdonare né screzi da superare.
Prima di congedarsi, Giorgio si fece promettere che ci saremmo rivisti in condizioni più favorevoli; dal momento che eravamo tutti e due professori, nello stesso istituto, la nostra storia di adulterio poteva svilupparsi nella massima discrezione usando talvolta la garconnière degli amici, ma più spesso ricorrendo ad alberghi appositamente attrezzati; le carte di credito di mio marito mi consentivano di fare fronte alle spese senza turbare equilibri.
Tornai a casa decisamente allegra; dentro, tutto era silente; Mario dormiva pacifico al suo posto nel letto; andai in bagno a lavarmi le numerose scorie che la serata di sesso sfrenato aveva lasciato sul mio corpo; cercai di lenire qualche livido per eccesso di passione con creme di bellezza; mi andai a sdraiare silenziosamente accanto al cornuto, evitando accuratamente anche di sfiorarlo per non svegliarlo; presi sonno immediatamente e dormii pacificata.
Mi destai che il sole entrava prepotente nella camera; mi alzai barcollando come uno zombie e mi diressi alla cucina, dove la colazione era stata preparata, come al solito, dal mio premuroso marito; non avevo lezione le prime due ore e potevo prendermela comoda; Mario doveva essere già andato in studio; invece lo vidi rientrare e rifugiarsi di fretta nello studio; mai avrei potuto immaginare che fosse uscito e rientrato prima di andare in ufficio.
Invece mio marito, svegliatosi come sempre alle sette, si era fiondato immediatamente alla garconnière, aveva spento l’impianto di ripresa e aperto l’ultima registrazione; preso atto che il video era quello che temeva, aveva travasato il contenuto su un chiavetta esterna, portata appositamente, ed aveva cancellato il file originale, perché non fosse alla mercé degli amici; rientrato in casa, senza una parola si era rifugiato nello studio per elaborare il video.
Seduto di fronte a me in cucina, mi chiese se ci fosse qualcosa che dovevo dirgli; negai recisamente e lo mandai al diavolo.
“Che cos’è questa schifezza?”
Era stata Laura, nostra figlia, a chiedere, stendendo sul tavolo il mio indumento impregnato di sperma; stupidamente, non mi ero resa conto di aver lasciato per terra, dietro la tazza del water, lo slip della notte avvolto in fazzolettini; lei se l’era trovato tra i piedi, l’aveva raccolto e aveva capito.
“Non sai fare le cose con garbo? Questo è sperma ed è roba vostra!”
Si era rivolta a Mario, che si limitò a guardarmi con aria interrogativa.
“Impicciona, sono perdite mie di cui non devo rendere conto a te!”
Ero stata dura, ma solo perché mi vergognavo; lo sguardo tra i due mi disse che avevano capito e mi condannavano; me ne fregai altamente e mi andai a vestire; Mario accarezzò amorevolmente la figlia sulla guancia; lei lo strinse in un abbraccio vigoroso; lui uscì; in ufficio, sistemò il file della copula, lo caricò sul computer di lavoro, in una cartella secretata, e chiamò la ditta dove lavorava Gemma con funzioni direttive; era una di quelle del suo sistema e gli fu facile farsela passare.
“Ciao, Gemma, purtroppo non avevo visto male; ti comunico che siamo ufficialmente cornuti.”
“Cosa pensi di fare?”
“Io ho una figlia; il divorzio le farebbe molto male; temo che dovrò abbozzare, sperando che almeno sia stata un’occasione unica ed irripetibile.”
“Temo che ti illuda; mio marito non è uomo da accontentarsi; farti del male è un suo sogno antico; stima l’amico, ma la voglia di farti abbassare la cresta non si soddisfa con un cornetto; temo che sarà una storia lunga; d’altronde, da quel che so, anche tua moglie combatte la tua supremazia, non il tuo amore; e una copula non basta a placare le sue smanie.”
“Pensi ad altre soluzioni possibili?”
“So che è un discorso egoistico e falsato dalla situazione; ma dovresti anche sapere bene che ho da tempo la stessa smania che Lea ha manifestato di andare a letto con Giorgio; loro hanno soddisfatto per una sera le turpi voglie; perché non rendere la pariglia? Per una sera ci lasciamo andare all’amore, se tu ne provi quanto io per te; poi ci fermiamo e aspettiamo; se la bolla si sgonfia, ci ritiriamo nei gusci del matrimonio; se la loro diventa una storia, non escludo di fare lo stesso.”
“Lo trovo meschino; se decidiamo di saltare il fosso, lo faccio perché mi piaci, perché provo grande passione per te ed ho finora frenato l’amore perché stupidamente fedele al sacramento; se entriamo insieme in un letto, non leghiamo ad altri le nostre sorti; sarebbe qualcosa di totalmente diverso, dalle radici allo sviluppo, senza previsione di fine alcuna.”
“Scusami, ho ecceduto in prudenza; io ti amo davvero, da tempo ormai; ma non osavo neppure lasciartelo capire; sono pronta a saltare tutti i fossi che vuoi affrontare; dimmi quando dove e come.”
“Possiamo andare a cena, diciamo venerdì prossimo; se qualcosa scatta, e non solo la ripicca, non mi fermerò e ti porterò con me all’inferno, se ci stai … “
“D’accordo per venerdì; cerca un posto discreto e suggestivo; è così che ti ho sempre sognato.”
“Ho paura che siamo sul punto di dichiararci l’amore.”
“Io ti amo; mi sono già troppo a lungo toccata da sola pensando a te; nel mio amore è prevista anche la passione e il desiderio fisico; forse è meglio che cominci a pensare non più alla Gemma da ammirare letterariamente ma ad una donna appassionata; non vorrei né spaventarti né deluderti; da questo momento, mi spoglio di tutto davanti a te … “
“Sono molto esigente; la prima richiesta è che ti lasci quanto possibile spogliare da me; so farlo con molto amore.”
“Adesso chiudiamo la telefonata, perché comincio a bagnarmi; forse è inutile suggerire che è più giusto essere morbidi coi coniugi adulteri, anche se loro sono feroci coi cornuti, se conosco mio marito.”
Quando tornò a casa, immediatamente mi indispose la sua faccia serafica con un sorriso dipinto, che non riuscivo ad attribuire a gioia per qualche successo di cui non avevo notizia; non credevo che il sospetto fondato di essere cornuto potesse rallegrarlo, a meno che non avesse una natura cuckold di cui non ero al corrente; l’unica possibilità era che fosse derisione nei miei confronti, non sapevo per quale motivo; mi inferocii e mi ripetei che era cornuto; lo avrei umiliato a morte, così imparava.
Cominciai a rispondere con cattiveria gratuita, feroce e volgare anche nel linguaggio, opposto a quello controllato che da sempre usavamo in casa; fui volutamente sgarbata e scostante; l’unica ad adontarsene fu nostra figlia che, ad una mia sortita decisamente a sproposito e volgare, scattò come una molla e diede sfogo a tutto il vocabolario giovanile di offese per darmi della troia e invitarmi ad andare sul marciapiede, tra le mie pari, ad usare quel linguaggio.
La violenta reazione, con cui cercavo di riaffermare la mia autorità materna su di lei, scosse Mario, che pacatamente, come era nel suo stile, mi ricordò che Laura era maggiorenne, quindi non soggetta a nessuna autorità, che aveva risposto alle mie volgarità con lo stesso linguaggio che io avevo provocato; ci invitò a rasserenarci e a risolvere dentro di noi i problemi prima di scaricarli sugli altri.
Dovetti arrendermi e tacere; lei invece gli si lanciò fra le braccia scusandosi per essere stata scurrile e scortese con sua madre; lui la accarezzò con la paterna dolcezza di sempre e la rassicurò che non si sentiva toccato dalle mie volgarità; sapeva più di quanto io credessi e non mi faceva colpe; avrei imparato come si pagano gli errori e questo forse gli doleva anche di più; era stato un discorso chiaro e diretto; ma la visione limitata del momento mi impedì di difendere l’amore per mia figlia, l’unico riferimento che mi rimaneva e che invece spingevo verso suo padre che amava con la stessa intensità.
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